venerdì, maggio 26, 2006

Il beneficio di tutte le pratiche del Buddha.


Secondo la visione di Nichiren Daishonin il Daimoku - cioè il mantra Nam Myoho Renge Kyo - contiene in sé i benefici di tutte le pratiche e di tutte le azioni meritorie del Buddha e dei Buddha nelle tre esistenze di passato presente e futuro. Detta così questa affermazione può essere incomprensibile, o quasi. Vediamo di capire meglio... Il beneficio supremo delle pratiche mistiche del Buddha è, naturalmente, l'Illuminazione - che possiamo definire come uno stato di perfetta integrazione con la vita e con la realtà. Secondo la tradizione buddista il raggiungimento di tale traguardo è stato possibile al Buddha Shakyamuni grazie a numerosissime pratiche protratte nel corso di moltissimo tempo e comuni a tutti coloro che perseguono il "risveglio". Ad esempio Siddharta si impegnò in una approfondita ricerca filosofica, si immerse in avanzati stati meditativi e sperimentò tecniche ascetiche molto rigorose. Si dice anche che nelle vite precedenti avesse già praticato innumerevoli volte il sacrificio di sé come Bodhisattva, vale a dire offrendo sé stesso o la propria vita per gli altri - perfino per la salvezza di animali in difficoltà. Certo, questo tipo di percorso, così lungo e difficile, e che sfocia nel grande mare dell'illuminazione, sembra l'appannagio di un uomo per certi versi divino, oppure di individui fuori dal comune. Però, particolarmente per il buddhismo Mahayana, il beneficio ottenibile con queste pratiche straordinarie è accessibile a tutti gli esseri viventi perché tutti hanno in sé il potenziale dell'illuminazione, ognuno possiede in sé la buddità: la grande realizzazione del Buddha è che tutte le ricerche portano a scoprire qualcosa che si possiede già, e le parabole del Sutra del Loto ne offrono precisa indicazione. Per questo Nichiren Daishonin ci regala un gioiello prezioso e di inestimabile valore, una sintesi di tutti i percorsi compiuti da Shakyamuni, una pratica che li condensa in una unica grande medicina capace di guarire l'oscurità fondamentale, l'illusione: la recitazione di Nam Myoho Renge Kyo. Poiché il Daimoku risveglia il potenziale innato presente nei nostri cuori, esso risulta adatto per ogni tipo di difficoltà, ed è applicabile a tutti gli aspetti della nostra vita, proprio in quanto ognuno di essi può essere illuminato dalla luce della buddità - cioè della consapevolezza, della coscienza, dell'integrazione degli opposti in una sintesi superiore e risolutiva. Non esistono aspetti "inferiori" o "indegni" della nostra vita che non possano servire a dipingere quel meraviglioso affresco del nostro proprio sviluppo, della nostra crescita individuale e collettiva in qualità di esseri umani. Nam Myoho Renge Kyo, dunque, contiene il beneficio e i benefici di tutte le pratiche del Buddha. Si, semplicemente per questo: perché ne è il punto di arrivo, la sintesi. Nam Myoho Renge Kyo significa aprirsi e attivamente affidarsi alla vita universale.

giovedì, maggio 11, 2006

Sintonia.


Praticare è una questione di sintonia. Non si tratta di recitare questo o quel mantra, oppure di fare questa o quella meditazione. Naturalmente la tecnica scelta riveste la sua importanza: non è privo di valore - tanto per fare un esempio banale - ripetere a lungo e con partecipazione mentale "pace, pace", oppure "amore", oppure "volontà": ognuna di queste parole rappresenta un mondo, un'intenzione, una concezione di vita. La concentrazione sull'una o sull'altra tenderà a portarci in una specifica direzione, a sperimentare ed elaborare la nostra vita in quel senso. Ecco perché non tutte le tecniche, non tutti i mantra, non tutte le preghiere sono uguali, come qualcuno sostiene! Si tratta di medicine differenti, con indicazioni, posologie e - magari - anche controindicazioni ed effetti collaterali diversi. Ritorniamo, però, alla sintonia di cui scrivevo all'inizio: praticare un determinato tipo di meditazione non è soltanto un atto formale, meccanico; piuttosto è la ricerca di una giusta tensione interiore, di una sintonia appunto. All'inizio, quando si apprende una determinata tecnica, si è molto concentrati nell'imparare e si entra naturalmente in accordo con l'intenzione della pratica: a ciò contribuisce il fascino della scoperta, il mistero insito in ciò che si sta abbracciando. Poiché, però, si cambia continuamente, man mano che si diventa esperti si perde la freschezza del principiante e le cose rischiano di isterilirsi: l'esperienza accumulata e la conoscenza, come sempre, tendono a distruggere la spontaneità e la vita. A questo punto l'allievo progredito può diventare rigido, fanatico: per cercare di non perdere quello che crede di avere acquisito, comincia a lottare con i suoi sentimenti negativi, con i dubbi, con la noia, magari senza neanche rendersene conto. La sua rigidità può arrivare a coinvolgere i rapporti con gli altri, si manifesta nel voler imporre loro proprio quelle convinzioni che egli stesso sta perdendo: in questo gioca un ruolo importante la paura. Come sempre la chiave è la consapevolezza. Rendendosi consapevoli di tutto questo meccanismo mentale, il praticante può dirigersi nella direzione dell'approfondimento della sua pratica e della ricerca di una sintonia più intima con essa, meno formale e più sostanziale. Quella sintonia, in questa fase, è in sé illuminazione...