martedì, giugno 10, 2008

risposte alle domande degli "amici-di-blog": occhi chiusi.


Che ne pensi di chi recita con gli occhi chiusi: fa "bene" o "male"?


Nelle discipline mistiche indiane, nello Yoga in particolare, la concezione prevalente è che durante la meditazione si debbano chiudere le porte dei sensi: gradualmente, nella concentrazione, si raggiunge un sempre maggiore distacco (Pratyahara) dal dato sensibile, così da riuscire a percepire quello che sta oltre l'illusione dei sensi. L'idea sottostante è che il mondo fenomenico così come lo conosciamo è superficiale, apparente, non sostanziale, limitato e ci distrae dall'esperienza del nostro Vero Sé. La Verità, la Coscienza e la Beatitudine (Sat-Cit-Ananda) si raggiungono eliminando le distrazioni, spingendo lo sguardo all'interno di sé stessi e cercando una visione superiore: gli occhi vengono chiusi per superare la percezione limitata delle cose, quella degli occhi fisici, e la concentrazione si sposta verso il "terzo occhio", cioè la visione trascendente e unitaria.
Questa, però, non è l'unica tecnica e concezione che lo Yoga ha prodotto: in questa disciplina e anche nel Buddhismo esistono tecniche meditative dove gli occhi sono semi-chiusi, lo sguardo è concentrato sulla punta del naso oppure volto verso il basso, rilassato, senza focalizzarsi su nulla in particolare. Lo scopo è quello di cercare uno stato interiore crepuscolare, che non sia né volto all'interno né all'esterno, che non sia né sonno né veglia, né attività né quiete, e lì, in quella dimensione limite al di là degli opposti (Samsara e Nirvana) ricercare l'illuminazione.
Esistono poi delle forme di preghiera o di meditazione che utilizzano oggetti esterni sui quali portare lo sguardo: da quelle devozionali che si concentrano sull'immagine di una divinità a quelle tantriche che fanno uso di Mandala. Il Buddhismo di Nichiren Daishonin utilizza quest'ultimo strumento di concentrazione.
Il Mandala generalmente è una visione simbolica del Cosmo, dell'Ordine Universale, della Legge Mistica o Realtà Fondamentale. In sé, naturalmente, è un oggetto, un pezzo di stoffa o di pergamena dipinto. Però come simbolo allude ad una verità archetipica. Concentrarsi su di esso significa cercare di percepire profondamente e interiormente ciò che rappresenta, al di là della sua forma oggettuale. L'Apertura degli Occhi di cui si parla nel Buddhismo, dunque, indica l'impegno a vedere oltre l'illusione, a raggiungere l'Illuminazione. La recitazione di Nam-Myoho-Renge-Kyo è tutta fondata sulla possibilità di percepire la Realtà Fondamentale. La voce (=il suono, l'energia vitale, l'intenzione) esprime concretamente la dedizione a questo compito e gli occhi (=la visione, la comprensione, la coscienza) si concentrano sul simbolo che quella Realtà rappresenta.

In sintesi: Daimoku e Gongyo si recitano rivolti al Gohonzon con gli occhi bene aperti. Fare diversamente non è "male", però al fine apprezzare pienamente il senso e l'effetto di questa forma di Buddhismo lo sguardo va concentrato sul Mandala, rappresentando così concretamente, anche con l'atteggiamento e con il gesto, il Buddha che percepisce e vede con chiarezza la Verità Universale.

giovedì, giugno 05, 2008

Risposte alle domande degli "amici-di-blog": Gongyo



Perché facciamo Gongyo, per di più in una lingua che non conosciamo?



In generale, si può dire che l'Oriente ha sviluppato una conoscenza e una tecnica molto diverse dalle nostre, focalizzate sull'interiorità dell'uomo più che sul suo sviluppo materiale - pur così importante e necessario. Parte di queste conoscenze riguardano il potere del suono come strumento di modificazione degli stati mentali: da qui i cosiddetti "mantra". Anche il nostro rosario, probabilmente, ha la funzione di calmare la mente, di facilitare esperienze mistiche o di abbandono al divino. Rivolgendoci ad una impostazione religiosa orientale però, oltre che agli effetti psicofisici delle litanie e dei suoni mantrici, che è bene conservare con le caratteristiche originali con cui sono stati appositamente concepiti, abbracciamo anche una impostazione filosofica, un tipo di concezione della vita che quei suoni veicolano.
Per fare un esempio, forse più comprensibile: se pratichiamo lo Yoga non stiamo semplicemente facendo ginnastica, anche se la nostra ginnastica occidentale ha in parte gli stessi effetti e obiettivi. Facendo Yoga abbracciamo anche un particolare punto di vista che coinvolge una trasformazione del nostro modo di porci verso l'esistenza. Non servirebbe "tradurre" lo Yoga in una forma ginnica occidentale, come non vale l'obiezione: “esistono tante forme di ginnastica o di sport in occidente, perché andare a scegliersi una pratica indiana?” Evidentemente si sceglie quello che si ritiene di poter condividere e che si sente che ci fa bene...

Risposte alle domande degli "amici-di-blog": il dondolamento


Perché alcune persone tendono a dondolarsi mentre recitano?


I motivi del "dondolamento" possono essere molteplici, sicuramente differenti da persona a persona, e bisogna sempre tenere presente che qualsiasi interpretazione non è che una supposizione! Tuttavia si può osservare come in alcune forme religiose, ad esempio l'ebraismo, il movimento sia considerato un fattore indispensabile, cioè una parte integrante della preghiera, tanto quanto in altre si reputa essenziale l'immobilità.

Potremmo dire che la preghiera è sempre un tentativo di uscire dal circolo vizioso del proprio "piccolo io", delle proprie limitazioni. Se ci si muove durante la recitazione, dunque, è probabile che intimamente si avverta di essere in una condizione statica, di immobilità negativa, rimanendo prigionieri della propria mente, delle proprie idee ecc., e perciò si cerca nel movimento la risoluzione di questa stasi. Se, al contrario, si preferisce l'immobilità nella meditazione, allora forse vuol dire che nella vita ci si agita convulsamente, cercando con affanno una soluzione che invece sarebbe possibile trovare fermandosi e calmandosi.

C'è, inoltre, una possibile interpretazione psicanalitica: dondolandosi si ha la sensazione di rientrare nelle braccia materne, nel grembo, cullandosi e affidandosi all’archetipo genitoriale.
Va, comunque, ricordato che nella nostra pratica del buddismo di Nichiren Daishonin durante la recitazione viene consigliato un atteggiamento composto, evitando il più possibile movimenti e distrazioni proprio perché è essenziale concentrarsi sul Gohonzon e sul rituale. E' altresì importante, però, non essere rigidi osservando le regole in modo troppo severo e formalistico. Le regole sono delle indicazioni, non dei vincoli assoluti: ognuno deve poter vivere la propria pratica con la massima naturalezza.