martedì, novembre 30, 2010

Confronto con altri mantra


Un'amica mi ha scritto: "La mia insegnante di yoga ha proposto, durante la lezione, la ripetizione di un mantra: Om Mani Padme Hum. Come praticante del buddismo di Nichiren Daishonin mi sono sentita piuttosto a disagio perché, lì per lì, sono stata colta alla sprovvista e mi sono uniformata senza neanche capire bene il significato di questa preghiera e se essa potesse essere in contrasto o meno con gli insegnamenti del nostro buddismo. Perché l'insegnante ha dato per scontato che tutti fossero disposti a recitarla e che cosa bisogna fare in questi casi?"


Il mantra del buddismo tibetano "Om Mani Padme Hum" significa: "Om (il suono dell'energia creatrice universale) - il Gioiello è nel Loto". Il senso è che all'interno del Loto è nascosto un gioiello di grande valore mistico. Ciò è piuttosto simile a quanto Nichiren insegna: lui stesso trovò nella profondità del Sutra del Loto il gioiello mistico del Daimoku! Al di là di ciò comprendo il tuo imbarazzo nel dover ripetere un mantra che non conosci, e devo dire che in effetti a volte si dà troppo per scontato da parte degli insegnanti di discipline orientali che tutti vogliano fare certe preghiere o accettare certi mantra. A loro discolpa c'è l'amore per l'Oriente che essi hanno, e il desiderio di sperimentarne liberamente le tecniche senza i vincoli cui ci aveva abituato la nostra religione tradizionale - per cui magari il rifiuto di condividere una meditazione o pronunciare un mantra deve loro sembrare una forma di resistenza, di pregiudizio e di chiusura. Che cosa bisogna fare in questi casi? Francamente non credo che ci sia una risposta valida per ogni circostanza. Secondo me in alcuni casi e situazioni si potrebbe cortesemente declinare l'invito a partecipare ad una certa preghiera dicendo chiaramente che si è buddisti e che si preferisce non fare una preghiera con la quale non si è d'accordo proprio per rispettarla, perchè non si possiede l'atteggiamento interiore richiesto e non si ha la stessa visione. In altre situazioni, invece, si potrebbe accettare di partecipare al rituale comune per stare insieme agli altri e per non dare l'impressione di praticare una religione chiusa ed esclusiva - anche perché effettivamente non lo è: in questo caso potremmo sforzarci di trovare nel rituale che ci propongono dei punti in comune con il nostro buddismo, come se stessimo facendo un dialogo; ciò non significa che stiamo abbandonando o offendendo la nostra pratica, ma semplicemente che ci stiamo aprendo ad altri punti di vista focalizzandoci sul valore che in essi è certamente presente.
Ricordiamo che il Presidente Ikeda afferma - nella prefazione alla Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin - che tutte le religioni hanno nella loro profondità il potenziale per portare le persone alla felicità, e che è un suo preciso desiderio che possa esservi dialogo e collaborazione fra di esse per una reciproca crescita e una trasformazione positiva dell'umanità.

lunedì, novembre 29, 2010

Domanda sul "vero" buddismo.


Spesso si sentono o si leggono dei riferimenti al buddismo di Nichiren Daishonin che lo qualificano come "vero" buddismo, oltretutto in modo palesemente autoreferenziale perché sono gli stessi praticanti di questo buddismo ad utilizzare tale espressione! In effetti sono un pò perplesso al riguardo. Forse si intendono indicare le altre scuole o correnti nell'ambito del buddismo come delle contraffazioni? Francamente credo che nessuno possa dirsi detentore della verità assoluta. Che ne pensi?

In proposito non posso che offrire le mie personali riflessioni. Voglio precisare che non essendo questo blog direttamente collegato alla Soka Gakkai se non per il fatto che ne sono membro, ciò che esprimo non è l'opinione ufficiale dell'organizzazione ma il mio pensiero di praticante. Detto ciò, riguardo alla questione posta osserverei che normalmente le definizioni che utilizziamo in italiano sono derivate o tradotte dal giapponese. Immagino che anche per "vero" buddismo sia la stessa cosa, così come accade per l'espressione "vero" insegnamento (hon-mon), contrapposta ad insegnamento "provvisorio" (shaku-mon), "vero" Budda (hon-butsu) e Budda "transitorio" (shaku-butsu). Ciò che è stato tradotto con "vero" nei casi citati sarebbe più propriamente traducibile con "originale", e si riferisce all'insegnamento che Shakyamuni rivela nel Sutra del Loto: quello che "originariamente", cioè in maniera innata, la natura dell'illuminazione è presente in ogni essere vivente. Un altro possibile significato di "vero" potrebbe essere quello che contrappone il "vero" insegnamento a quelli "provvisori". Anche questo concetto origina dal Sutra del Loto, dove Shakyamuni dichiarò di non avere - fino a quel momento - detto la piena verità, ma rivelato solo insegnamenti provvisori il cui scopo era di direzionare verso la verità senza però dichiararla apertamente. Quale era questa verità? Sempre quella già espressa: che tutti gli esseri sono potenzialmente dei Budda e anche che Shakyamuni stesso non è che una manifestazione del Vero Budda, il Budda Eterno, cioè della coscienza illuminata intrinseca alla vita universale. Quando si dice "vero" buddismo, dunque, non lo si fa per esprimere una concezione elitaria ed esclusivista della propria pratica o per avversare altre scuole buddiste; piuttosto si vuole alludere all'insegnamento contenuto nel Sutra del Loto e alla sua ulteriore elaborazione da parte di Nichiren Daishonin, che ha inteso porre l'essenza "originale" del Budda a disposizione di tutte le persone comuni, uomini e donne, senza alcuna distinzione o discriminazione. In breve l'espressione "vero" buddismo intende indicare la verità che tutti possediamo il potenziale dell'illuminazione e che tutti possiamo manifestarlo.