giovedì, aprile 29, 2010

Luminosità


Talvolta la pratica buddista si apre ad un sentimento solare, luminoso e saldo. Non nego che vi siano momenti difficili, in cui anche una pratica come la nostra - semplice ed essenziale - possa apparire pesante e priva di significato. La vita stessa, in quei momenti, generalmente è su un tono minore, oppure è oppressa dalle difficoltà - e allora recitare Gongyo diventa veramente qualcosa di faticoso: sembra un di più, un artificio inutile e superfluo rispetto ad periodo oscuro che si affronta - dove possono esservi problemi di vario genere ma, in sintesi, si ha a che fare con una o più delle otto sofferenze: nascita, malattia, vecchiaia, morte, essere lontani da ciò che si ama, essere vicini a ciò che si detesta, non ottenere ciò che si desidera, disordine delle "cinque componenti". Proprio in questi momenti, tuttavia, se il disagio diventa veramente forte, se la sofferenza diviene lacerante, la sincerità della pratica si manifesta: il rapporto con il Gohonzon trova una essenzialità, ritorna ai suoi fondamenti, alla sua verità. E' così che mi sento ora: nelle difficoltà attraversate percepisco di aver purificato la mia pratica, di averla resa più salda e più vera. Non che prima non lo fosse, però mi pare che essa, per sua natura, negli anni, tenda ad evolvere, a mutare, a penetrare più a fondo, magari abbandonando con naturalezza aspetti che - pur essendo serviti al tempo opportuno - adesso risultano non più utili. Ecco allora che scaturisce quel sentimento luminoso, quell'apertura di cui parlavo all'inizio. Insieme a tanta gratitudine per aver incontrato, apprezzato e mantenuto la fede nel Gohonzon: non è cosa da poco in un mondo così complesso e problematico. E' un grande beneficio, una vera fortuna.

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