martedì, dicembre 06, 2005

Disattendere le aspettative.




Shakyamuni, dopo aver lasciato la sua reggia, cioè la visione limitante del mondo in cui era vissuto fino a quel momento, s'inoltrò nella foresta, nei villaggi, nel variegato disordine della vita, per cercare di scoprire il perché della sofferenza, per conoscere meglio sé stesso e la Legge che regola l'esistenza. Era un principe e agli occhi del re suo padre avrebbe dovuto essere il futuro sovrano, ma egli rifiutò di identificarsi in quel ruolo e smise di praticare lo stile di vita di corte in cui era nato e cresciuto. In breve tradì le aspettative che gli altri avevano su di lui. Nella sua ricerca incontrò dapprima due, tre Maestri. Ognuno di loro sembrava essere il detentore della Verità. Ognuno di essi si era spinto fino a vertici filosofici ed esperienziali mai raggiunti prima. Conoscevano la mente concettuale e ciò che va oltre la concettualizzazione, le regioni della forma e della non-forma. Siddharta studiò diligentemente le loro dottrine e si immerse negli stadi meditativi da loro indicati fino a diventare il migliore allievo in ognuna di quelle scuole. Però, ogni volta, ritenne di non aver trovato le risposte che cercava, di non aver veramente conosciuto sé stesso. Pertanto smise di praticare quelle discipline e continuò il pellegrinaggio interiore. Andò a vivere nella foresta insieme agli asceti. Condivise con loro l'idea che il maggior ostacolo alla comprensione fosse il corpo fisico con le sue limitazioni. Pertanto cercò insieme ai suoi compagni di dominare ogni istinto fisiologico, di fiaccare gli impulsi naturali, di far tacere ogni brama. Anche in quel caso il suo desiderio di conoscenza lo portò molto lontano e divenne pressocché un Maestro, un esempio per gli altri asceti. Quando decise che anche con quei sistemi non si poteva raggiungere ciò che cercava, partì dalla foresta e smise di praticare la mortificazione ascetica. I suoi compagni, che fino a quel momento lo avevano ammirato, pensarono che avesse disatteso e tradito il comune ideale. Secondo me Shakyamuni non tradì mai nulla, proseguì semplicemente una indagine che andava oltre tutte le concezioni e le tecniche della sua epoca. La sua vera pratica consisteva principalmente nel non fermarsi alle verità precostituite, nel cercare costantemente di aprire la sua vita al nuovo, all'ulteriore, alla conoscenza di sé e del Sé. Sia pure nel suo stile immaginifico e mitologico, penso che il Sutra del Loto dica una grande verità: che negli ultimi anni della sua vita il Buddha continuò a mettere tutto in discussione, compreso il suo stesso messaggio. Dichiarò che quanto era andato insegnando per quasi quarant'anni non era che un insieme di verità provvisorie, di punti-di-passaggio, di espedienti. Disse che la sua intenzione non era mai stata davvero compresa, e che non era comprensibile se non fra Buddha, cioè fra persone che vivevano e sentivano profondamente la sua stessa ricerca, il suo "volo continuo". Pertanto, con il Sutra del Loto, Shakyamuni disattese il suo stesso insegnamento - la sua forma esteriore - per cercare di indicare qualcosa di più profondo e vissuto, oltre ogni dottrina codificata. Anche Nichiren smise di praticare il buddhismo della sua epoca scandalizzando i contemporanei e, probabilmente, in tal modo dimostrò di aver compreso l'intenzione e la "vera pratica" di Shakyamuni. Il Daishonin disse infatti che quest'ultima non consisteva in nessuna tecnica o esperienza prestabilita, in nessuno degli espedienti del Buddha, piuttosto era definibile come "Nam Myoho Renge Kyo", cioè come una costante, incessante e libera dedizione alla ricerca della Legge Mistica e Misteriosa che sottende la manifestazione dell'Universo.

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