martedì, dicembre 27, 2005

Propagazione.



A mio parere esiste una sfumatura di significato differente, anche molto differente, fra le parole 'propagazione' e 'propaganda'. Mi sembra che il problema delle organizzazioni religiose stia in gran parte qui: aver frainteso questo significato, aver confuso la propagazione con la propaganda. La propagazione, mi piace immaginare, è come quella di un'onda sonora, di un diapason. Il diapason coglie una vibrazione, ne risuona e, per ciò stesso, la propaga, la diffonde. Nel mondo dell'Illuminazione di cui parla il buddismo dovrebbe essere lo stesso: vibrare su una certa lunghezza d'onda. Se lo si fa davvero, è naturale che si diffonda nell'ambiente intorno l'emanazione del proprio 'stato vitale'. Ma non si tratta di uno 'stato vitale' tipo 'fitness', uno star bene di tipo salutista. Si tratterebbe, invece, di una 'sintonia' con il Gohonzon, cioè - appunto - con il mondo d'Illuminazione, con la parte profonda dell'esistenza, con il Senso, con la Vera Entità, con la Consapevolezza, con Nam-Myoho-Renge-Kyo (non soltanto la mera ripetizione, ma il significato). Se la vibrazione è quella 'giusta', è naturale che la nostra 'pratica', cioè il nostro cammino evolutivo, costituisca un richiamo, un messaggio anche per gli altri. Se accendiamo una fiamma, per quanto piccola essa sia, anche una fiammella, essa rischiara l'oscurità intorno. E' nella natura della luce farlo. Non credo che la luce debba preoccuparsi di diffondere la luce. Se è luce... diffonde! In un modo o nell'altro. Tutt'al più ci si può preoccupare di accendere davvero la fiammella, di ingenerare un processo di combustione reale (che bruci il karma, cioè i nostri limiti) e non soltanto immaginario. Cioè di lavorare davvero su sé stessi (non sugli altri...). Propaganda, invece, significa 'vendere' qualcosa. Significa prospettare soluzioni precostituite, indurre bisogni, sensi di colpa, comportamenti. Tutto, però, si risolve nello smercio di un prodotto, di un 'oggetto', quindi - tutto sommato - di qualcosa di esterno all'individuo, talvolta addirittura di estraneo. Può capitare di convincersi della bontà di un prodotto al punto da desiderare di diffonderne l'uso, di estenderne la commerciabilità, l'emergenza, il gradimento collettivo rispetto ad altri prodotti consimili. Si può essere anche molto sinceri in questo. Però si sta solo smerciando qualcosa: in ambito spirituale il cambiamento non riguarda il 'cosa', forse neanche il 'come'. Non è la tecnica che può. Nel migliore dei casi la tecnica rappresenta un aiuto, un supporto, per una rivoluzione che, comunque, bisogna compiere dentro di sé e 'alzandosi da soli'. Si può propagandare l'Illuminazione come se fosse un oggetto, un ulteriore prodotto della nostra società dei consumi, di qualche multinazionale? Secondo me no. Chi lo fa, anche con le migliori intenzioni, è destinato a fallire: il suo 'prodotto' costituisce quasi per definizione una sovrastruttura che, presto o tardi, risulterà oppressiva, ingombrante, superata o superabile da un nuovo ritrovato tecnico. La propagazione è diversa. Forse prescinde dal metodo e arriva subito all'essere, alla realtà interiore, a ciò che c'è di eterno dentro. Mi sembra molto giusta la locuzione 'da cuore a cuore'. Si propaga la luce, non il modo in cui si è acceso lo stoppino, che può anche variare. La luce è la rivelazione, il fatto che esista, che sia possibile, che non sia una vana fantasticheria. Se nella mia vita realizzo anche una piccola parte di luce, lo faccio anche per gli altri, ciò avrà un'effetto anche sugli altri. Perché siamo tutti collegati e perché è quello che tutti - in modo più o meno consapevole - cerchiamo: 'bodhicitta', il 'pensiero dell'illuminazione', l'unico 'vero' e fondamentale desiderio. La verità non ha bisogno di alfieri, di difensori, di combattenti. Si propaga da sé, perchè tutti la percepiscono e la cercano. Un piccolo fiammifero, quindi, può generare un grande incendio, quello di una foresta. Accendere, dunque, la propria luce: questa è l'essenza. Si diffonderà. Questo non significa essere dei solitari, non voler partecipare isolandosi sulla montagna. E' normale e auspicabile interagire, cercare di capirsi, di aiutarsi, persino di organizzarsi. Però bisognerebbe organizzarsi e proporsi come organizzazione quasi chiedendone scusa, con levità, con la capacità di lasciar andare, di proporre ma sempre con la costante preoccupazione di non imporre e di non 'vendere' nulla. Come dice il Budda nel Sutra del Loto: "Questo è il mio pensiero costante..."

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