venerdì, dicembre 09, 2005

Morte ed eternità.


S'è detto più volte che quella sulla morte è l'unica vera grande inchiesta, alla radice di ogni impostazione filosofico-religiosa. Riflettendo sulla morte ci chiediamo, di rimando, che cos'è la vita, qual è il suo significato e se ne ha uno. Come praticanti, ci chiediamo quale sia la posizione del buddhismo sull'argomento, perché ci sembra a volte ambigua: sopravviviamo oppure no? Si parla anche nel buddhismo di 'eternità della vita', ma come potrebbe essere eterna se non ci fosse la continuità dell'identità individuale fra una rinascita e l'altra, se il karma fosse soltanto una valigia che cambia di mano? Che cosa sarebbe dunque eterno, il karma forse? Allora sarebbe meglio parlare di 'eternità del karma', non della vita. E se il karma - la legge di causa ed effetto - fosse eterno, quindi 'assoluto', come potrebbe essere possibile il suo superamento, scopo principale del buddhismo? E il Nirvana, è 'estinzione' come annullamento e negazione, oppure si tratta di uno stato di coscienza superiore, al di là del tempo e - quindi - della morte? Dal canto mio ho elaborato alcune risposte a partire dagli insegnamenti buddhisti. Non so quanto siano realmente sostenibili dal punto di vista dottrinario, ma a me 'tornano', cioè mi soddisfano. Poi, è chiaro che bisogna lasciare sempre la porta aperta al dubbio, alla possibilità di riformulare tutto. Secondo me un 'quid' che sopravvive e che non è identificabile con il solo karma esiste, e credo che si tratti di una identità più profonda di quella che la nostra autopercezione ci suggerisce normalmente. Ciò che comunemente chiamiamo 'noi stessi' è qualcosa di piuttosto superficiale, è la nostra 'persona'. Ricordiamo che il termine 'persona' è mutuato dal teatro greco e significa 'maschera'. Credo che essa sia il 'ruolo' che ricopriamo come attori in ogni singola vita, ma che viene abbandonato al momento della morte o poco dopo. Sicuramente la persona 'Maurizio' con cui attualmente mi identifico non sopravviverà alla morte: si tratta, come dice il buddismo, di un insieme di aggregati. Tuttavia credo che il karma, i ruoli, le parti, abbiano uno scopo: quello della crescita della coscienza individuale. Che cosa rimarrebbe se dimenticassimo tutto di noi stessi? Rimarrebbe la nostra coscienza, il nostro sentirci di esistere. L'identità dell'io, del 'piccolo io', si basa sulla memoria. Senza di essa l'io non avrebbe sostanzialità. Svanisce con la memoria e, quindi, alla morte del corpo. Esistono poi livelli di memoria più profondi, non legati al cervello fisico: il karma, l''ottava coscienza', l''inconscio'. Anch'essi sono destinati a sciogliersi, a risolversi. Dove? Nella 'nona coscienza', che non è un 'magazzino' e, al contempo, è il trait-d'union che rappresenta il senso di ogni esperienza e di ogni serie di esperienze. Senza la nona coscienza esisterebbe soltanto il meccanismo universale. L'ingranaggio. E basta. Con la nona coscienza esiste l'origine e lo scopo del meccanismo e la garanzia che ogni percorso, pur sfociando in una consapevolezza unitaria e totalizzante, conservi la storia e la dignità di ogni passo, di ogni fase e, quindi, la particolarità individuale.

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